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Visualizzazione dei post da dicembre, 2020

La collana [26/10/2011]

Le ore di lavoro sono piene e gonfie e senza pause come tacchini ripieni a Natale. Tanto da andare a letto, alla fine, alle nove e mezza di sera senza quasi altro desiderare. Le scarpe imbarcano acqua come vecchie barche a remi mezze affondate a pelo d’acqua nel temporale. Un gatto bianco e nero si ripara dalla pioggia sotto il balcone, resta seduto impettito a guardarmi passare. Ciao, micio. Ho infilato il naso nell’armadio delle coperte e ho annusato a lungo l’aria satura di naftalina, inebriata dall’odore pungente come succede ai bambini. Mamma ride, mi offre un sacchettino di naftalina da portare a casa per l’armadio mio, ma io preferisco venire ad annusarla qui da lei.   Ti penso spesso, vecchio amico mio. In alcuni periodi, in effetti. Non saprei bene definire quali: forse, quando sono particolarmente stanca e ho bisogno di un affetto forte e di un porto sicuro e senza strappi su cui fermare il pensiero o il cuore a riposare.   Ripenso il momento in cui siamo usc

The observer [21/10/2011]

Facevo la mia lezione di latino, una settimana fa, quando si apre la porta. Già le grida e il caos dall’altra aula erano incontenibili, e poi si affaccia questo ragazzo dalla faccia simpatica e comincia a chiedere: e che lezione è, e lei che cosa insegna, ma è bellissima questa ragazza, e così via. Oggi, di nuovo. Voci e caos. Lui arriva e fa: professoressa ma lei in quali classi insegna? E intanto volta le spalle alla sua insegnante ignorandola mentre lei cerca invano di richiamarne l’attenzione. Non è perché io sia brava o simpatica: è lo sfregio all’autorità e la mancanza di rispetto, che mi urta. Ci fossi io nei suoi panni, mi andrebbe in modo analogo. Per cui amabilmente lo rispedisco nella sua gabbia perché non si danno le spalle a nessuno, soprattutto all’insegnante mentre parla, e chiudo la porta della gabbia mia molto meno popolata e decisamente più educata – grazie, dio.   Lei ha l’aria afflitta. È una bella ragazza; sembra annientata e sopraffatta. Anche io il p

Gobbe e buoi [20/10/2011]

Avevo sognato la neve sui tetti e ha nevicato la prima spolverata quella stessa notte. Ora non vorrei parlare di eruzioni perché sarebbe troppo facile: pare che le senta sempre in anticipo, certe cose, sempri ’na cosa, diventi ripetitiva, donna.   Il dottore ha la gobba sotto la casacca verde. La gobba da noi si chiama ’ u jìmmu . Macàri ’a Luna àvi ’u jìmmu. Ora dovrebbe essere calante. Non so, non si vede ancora. Ma i poeti insegnano che la Luna, che la gobba sia a ponente o a levante, percorre sempre gli stessi sentieri muta muta e conosce la sua strada e non si annoia, mentre il leopardiano pastorello si affanna tutta la sua breve vita fino a inciampare nell’ultimo precipizio. Tutto sembra uguale da quassù, e niente è mai uguale da quaggiù.   A volte mi dico: è uno sperpero. Questo prendere e vagare in lontananza con la macchina da sola quando posso. Invece non lo è: chi me lo deve dare mai, se non ci vado io, il colore del cielo al tramonto nel silenzio in

Drenaggi e tumefazioni [17/10/2011]

Sono giorni che, sotto a quello che si vive, ho tutti i muscoli e le ossa doloranti per la troppa piscina. E un dolore pulsante nella carne per l’intervento di cinque e poi tre anni fa che è tornato a farmisi sentire. Ma ho da tener testa con brio e polso nelle giuste dosi a uno zoo variegato indomito, nell’attesa del controllo medico dei prossimi giorni: cioè devo poter vivere e lavorare senza morire di torture cinesi grazie. Ci sono dolori che non si possono sopportare, ritornano periodicamente anche dopo anni a tormentarmi, se non si dà spazio al drenaggio. Dovrebbe farlo il medico ma nel finesettimana non lo voglio disturbare. Perciò sono intervenuta su me stessa con strumenti sterili e, una volta presa visione della parte, il dottore giorni dopo mi conferma poi che ho risolto il danno e non si dovrà operare, a quanto sembra. ***, che fa il medico, quando alla fine di tutto gli svelo qual è stata la soluzione, rimane un po’ impressionato: ma come hai fatto, dice. Si stupis

Neve del mattino [15/10/2011]

Come neve.   In città per poco non mi arrota un vecchio tram sui sampietrini in curva. Una fontana a un angolo, un cantiere con gli operai, una scala mobile verso il buio. Non entro: una solitudine diversa e pacifica sta per me lungo altre vie.   La strada è stretta, in mezzo ai campi e alle colline: sono queste, le strade che io amo. Un borgo medievale dai tetti a spiovente e le pietre a vista. Una casa con una torretta tonda. Un’altra è avvolta nell’edera.   La notte ha nevicato. Lascia, al risveglio, una spolverata di neve sui tetti di tegole. Illumina un’aria fresca e più leggera, fuori.

Tagli [13/10/2011]

1999   (...)   2006-2008 Cammino per i corridoi a stento, per il dolore. Loro sono da qualche parte, io mi sento svenire. I pavimenti ondeggiano. Barcollo, mi appoggio alle pareti – o a qualcuno. Non mi ero resa conto di stare così male. Rimango sola con il medico. Il bisturi entra nella carne e incide a vivo. Io grido. Mi dispiace, non posso farci niente. Mi sta aprendo la carne, sento la ferita aprirsi beante. Ne esce un pus denso e doloroso. Dovranno operare. Dolore profondo lancinante. Come una palla solida ruvida pulsante ficcata a forza nella carne. Non mi posso muovere. Freddo. Freddo. L’anestesia scivola via, io ho freddo. Solo la vestaglia di carta verde trasparente ho indosso. Si vedeva il seno, mentre mi addormentavo. Luce bianca, al risveglio, attraverso gli occhi chiusi. Un lettino di metallo sotto la schiena. Una ragazza chiama e grida per il dolore, qui vicino. Un vecchio, più vicino, si lamenta. Piango da qualche

Dead men [12/10/2011]

Saresti morto prima di me. Lo sapevo. Faceva male, pensarci. In qualche modo, è stato vero. Vedremo, poi, se sarà vero.   Era febbraio. La notte, in mezzo alle coperte, c’era un tepore e lui era sempre dentro di me – nella veglia e nel sonno, nella musica e nel silenzio, nella poca luce e nel buio. La mattina mi ha preparato un caffellatte, si muoveva come un ballerino. Ma volevo andare via, non c’ero. Quella mattina l’ho sentito parlare nella tua lingua, quest’uomo che non era te. Ero chiusa come un riccio, ormai: sia per questo, sia per tanti altri motivi. Ho preso la macchina e non l’ho visto mai più. Mi ha mandato dei messaggi per rivederci, nei mesi. Io non ho voluto.   Non so se sia per te, che l’ho fatto. Forse andavi preservato, dentro.  

Non ho nome [10/10/2011]

Così, al termine del suo viaggio, giunse. Era sereno e senza alcun sospetto – e (...) bello. Lei aveva lavato la casa per bene e messo in ordine. Aveva fatto anche un po’ di spesa, ma per cena lui volle ben poco. Soltanto un po’ di pasta fatta lì per lì e del lambrusco. L’avrebbe accolto in pizzi e ombre: sarebbe diventata tutte le sue donne. Ma questa volta il tempo non la aiuta: perciò è solo una ragazza coi capelli bagnati. Gli apre la porta in accappatoio bianco col cappuccio fin sugli occhi. (...) Lui aveva fatto l’amore lunedì, lei no ma era serena. Va bene così, non sono gelosa: non stiamo mica insieme, no? Lui le rispose, a bassa voce: no . Come un po’ perplesso. Lui che sa domare il fuoco, anziché spegnerlo. Di questa donna dice che è una tigre. Ma è normale: è l’istinto a dominare, al primo impatto. Tant’è vero che anche a lei, mesi prima, aveva detto: sei una tigre. (Ma, dovendo accantonare quell’istinto per un’illusione di sopravvivenza, fa