The observer [21/10/2011]

Facevo la mia lezione di latino, una settimana fa, quando si apre la porta.

Già le grida e il caos dall’altra aula erano incontenibili, e poi si affaccia questo ragazzo dalla faccia simpatica e comincia a chiedere: e che lezione è, e lei che cosa insegna, ma è bellissima questa ragazza, e così via.

Oggi, di nuovo. Voci e caos. Lui arriva e fa: professoressa ma lei in quali classi insegna? E intanto volta le spalle alla sua insegnante ignorandola mentre lei cerca invano di richiamarne l’attenzione.

Non è perché io sia brava o simpatica: è lo sfregio all’autorità e la mancanza di rispetto, che mi urta. Ci fossi io nei suoi panni, mi andrebbe in modo analogo.

Per cui amabilmente lo rispedisco nella sua gabbia perché non si danno le spalle a nessuno, soprattutto all’insegnante mentre parla, e chiudo la porta della gabbia mia molto meno popolata e decisamente più educata – grazie, dio.

 

Lei ha l’aria afflitta. È una bella ragazza; sembra annientata e sopraffatta.

Anche io il primo giorno – una decina di giorni fa – dovevo sembrarlo, in una delle mie classi; ma è solo perché avevo sostenuto un po’ di fatiche riservate personali il giorno prima e dovevo recuperare il sonno e la stanchezza. Lei invece ha sempre l’aspetto della brava ragazza in gonnella con aspirazioni idealistiche ma poco combattive. In compenso io sono meno prudente nel manifestare lo spirto guerrier - lei viene elegantina e soave con la gonna verde, per esempio; lo farei anch’io ma ho scoperto che è molto più pratico, ai fini del contenimento delle belve, un abbigliamento pratico tipo jeans e stivali dai tacchi alti.

Ci vorrebbe un frustino per completare il quadro ma quello non è d’uopo. Per cui in compenso c’è il sorriso a trentadue denti per esorcizzare l’indisciplina e tenerli relativamente calmi con annesso minimo sindacale di partecipazione – e speriamo che continui a funzionare.

 

Sta di fatto che oggi per la terza volta l’osservatore (e non parlo dell’alunno) la rimprovera in loro presenza.

Io continuo a fare la mia lezione ma non per questo sono diventata sorda: lo sento dall’altra aula e mi torco dentro le budella. Mi immagino di uscire come don Chisciotte in difesa del Diritto, del Rispetto e di madama Giustizia, ma intromettermi non richiesta non sarebbe né opportuno, né prudente.

È la terza volta che la richiama davanti a loro; a me ha ancora mosso solo una lieve rimostranza il primo giorno, poi non l’ho visto più alterato ai miei riguardi. Forse perché, dopo quella prima volta, quando gli ho chiesto dei pacifici chiarimenti orientativi in privato, è andato oltre le righe e credo di essere stata educata ma ferma nel rimettere i ruoli a posto.

Non che mi illuda che così tutto sia risolto per sempre, non sono mica ancora del tutto illusa e fuori fase. E, non essendo infallibile, prima o poi forse lo farò, qualche errore che mi costerà qualcosa.

 

Fuori con la sigaretta in mano, dopo, lei mi dice: secondo me ha capito che sai il fatto tuo, basta guardarti negli occhi. Ci sta osservando, tutti noi nuovi.

Non so in effetti che impressione io dia a lui, sono un po’ in dubbio; e d’altra parte, qualunque cosa veda in me, la parte del manico ce l’ha lui: gli basterebbe non rinnovarmi il contratto, occhi o non occhi. Ma sull’osservazione sono d’accordo: per questo dovrei essere un po’ più disposta al compromesso… Forse.

Il caso è grave: per questo, non è mica un esercizio facile.

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