La tigre. [21/01/2012]

E poi il Prof mi lasciò.
Così, una sera a caso.
Il 21 gennaio.
Andiamo a cena fuori: alla “Collegiata”, accanto alla chiesa della Collegiata. Si accede al ristorante da un portone accanto alla facciata concava, del polacco Stefano Ittar, della chiesa.
Le mura di pietra grezza, il legno scuro, le luci basse.
Il luogo è accogliente, ci siamo solo noi.
Sarebbe perfetto.
Ma vedo solo il tavolo di legno scuro.
È sconcertante, come nei momenti più dolorosi rimangano impressi i dettagli più futili.
Mi ricordo il legno scuro, quasi grasso nel suo spessore, del tavolo.
Prendo solo un’insalata: so che cosa sta per accadere, e ho lo stomaco serrato.
Ciò che doveva accadere, accade: storia già vista, già nota.
Mi ripete le stesse parole che mi disse a dicembre.
Con l’aggiunta di una bella rivisitazione delle
mie, di parole di quella dolorosa notte: “Tra voi c’è un vissuto”, gli avevo detto allora. E non si lascia un amore per un’avventura. Né me lo sarei aspettato.
Allora a quel vissuto aveva negato importanza. Oggi usa con me le mie stesse parole come se fossero farina del suo sacco.
E poi si sente in colpa perché lei gli ha regalato una vacanza in montagna – mentre lui stava con me.
Non sa come venirne fuori e mi addossa le sue colpe come fossero mie.
Finisce male, questa sera.
Finisce per sempre.
E fa male per sempre.

Perversa?
Oh no: non lo sarei, credo, per natura. Ma l’habitat e le circostanze, in rari casi eletti, giocano un ruolo fatale.
Non era questo che volevo io, da te. Non voglio dieci telefonate al giorno, come supponi. Nemmeno una, in verità – e non ne facevo.
Volevo la consapevolezza di vederci una, due volte alla settimana. O anche più di rado, devo dire. Con la libertà di non vederci e non sentirci, ma di esserci al tempo opportuno.
La parità dei diritti.
Ma tu, mi hai detto che non volevi una relazione.
Mi hai negato non quello che io volevo, ma quello che tu supponevi che io volessi.
Presuntuoso.
È una relazione, questa? Non saprei. Io il problema non me lo sarei posto, veramente. Se tu parti con le seghe e me le scaraventi addosso, che vuoi, che me le prenda senza un fiato?
Balle.
Io non voglio una relazione con te. Bene: visto che per te una relazione è il colloquio e il contatto quotidiano, mi pare che non l’abbiamo mai avuto, e che vada bene così. La nostra non è una relazione. A me sta benone.
Ma poi mi vieni fuori a dire che tu non ci sei abituato, che hai bisogno del colloquio e del contatto quotidiano. Bene, allora fallo, hai lei. O con me, se è quello che vuoi. Mi pari un po’ confuso, tesoro. Non posso mica dirtelo io, che cosa vuoi o non vuoi: io sto da sola, posso permettermi di accettare o meno quel che voglio, se voglio.
Quello che non ti permetto è il pregiudizio, su di me. Che tu, pur desiderando quel che di me hai visto, in nome delle tue proiezioni mi neghi invece qualcosa che nemmeno sai tu stesso che cosa sia.
Così mi hai dapprima ferita e poi offesa, quando hai cominciato a sragionare e hai inteso dettare tutte le leggi del regno senza appello.
Stavi esagerando, amore mio: con i tuoi macigni, mi fai stare male. Onore al merito di avere riconosciuto di avermi ferita quando non lo meritavo.
Ora, perciò, me lo merito.
Quando ho capito, ancora una volta nella vita, che il bello che avevamo vissuto era finito e l’avevo perso comunque – allora, mi posso trasformare: e posso reagire a nome di tutte, a beneficio di alcune, e col sostegno di molte.
Eccoti servito, adesso.
La cosa che più mi dispiace, in casi come questo, è che è già stato scritto.
Ma tutto, quanto rappresenta la natura umana, è già stato scritto.



“Io ho sempre saputo di essere nata per dominare il vostro sesso, e per vendicare il mio.”
(…)
“Io vi volevo ancora prima di conoscervi. (...) Poi, quando cominciaste ad inseguirmi, io vi volevo da morire. La sola volta che mi sono sentita dominata dal mio desiderio in una singolar tenzone.”
(La seconda volta, in realtà. Ma ogni volta è come la prima.)



“Quando una donna mira al cuore di un’altra, raramente lo manca. E la ferita è invariabilmente fatale. (...) Solo che vedete la mia vittoria non è stata su di lei. (...) È stata su di voi.”

Al di là del gretto moralismo di una società ipocrita, incapace di comprendere le sottigliezze raffinatissime di questa donna, e che la condannerà come libertina confinando sempre più la donna a un ruolo subalterno mentre l’uomo riconferma il suo diritto di infilarsi in qualunque buco – al di là di questo, dico, credo che l’errore della Merteuil non sia il cinismo, ma la menzogna.
Talvolta, per essere creduti, basta non volersi fingere irreprensibili, bensì mostrare, con le infamie altrui, anche le proprie debolezze o le meschinità, quando in questo sono implicate: le une e le altre, sono indissolubili.
Io non ho nascosto le mie bassezze.
(Bassezze? È una bassezza l’attrazione, il desiderio? Non è piuttosto riconoscere al proprio sé istintuale, pulsionale, passionale, il suo diritto alla vita? Sì, ma lo dico io: io che sono single, e lo posso dire, e lo posso fare. Io che sono libera di essere.)

Non esistono azioni prive di conseguenze.
L’hai voluto tu: hai giocato con la donna sbagliata.
Con le donne sbagliate, mi auguro di cuore.
E ora, su, vola da lei.
Oh, vedremo: se ha sale in zucca tanto da non cederti quando sarai tanto innamorato e disperato pur di riprenderla; allora forse farà giustizia.

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