Fra sé e sé. [09/01/2012]

“Ragazza. Vieni un po’ qui, mi sa che ne hai bisogno più del solito.”
“Mi sa di sì.”
“Parlarne con altri aiuta pure, ma nessuno ti conosce bene come noi ci conosciamo. E le domande giuste che facciamo a chi ci chiede aiuto, per una volta, servono a noi. Che è successo?”
“È successo che, a furia di essere selettiva, mi sono presa una sbandata colossale.”
“Bene. Intanto sei stata selettiva: questo è bene.”
“Ah, sì. A me ci tengo.”
“Com’è successo?”
“Sono successe due cose: la prima, è che ho ammazzato e seppellito chi doveva esserlo. La seconda, è che è successo.”
“Non è che una cosa succeda così, perché passa uno.”
“No, infatti. Ma è passato uno che mi è piaciuto moltissimo. Mi piaceva già prima ma non mi aspettavo che fosse così. Abbiamo passato un finesettimana travolgente, al termine del quale mi ha confessato di essere impegnato. (Cosa diamine ti proclami single se sei impegnato? Io sono single da tre anni, nonostante tutto. Ma comunque.) Dico: me l’ha detto dopo che era già successo. Non che io mi fossi posta il problema: mi piaceva sempre di più. E quindi non mi ero preparata.”
“Ecco lì: non ti eri preparata. Non sapevi che cosa ti aspettasse.”
“Infatti. Così, mi sono lasciata andare non solo al momento ma anche al desiderio.”
“Che cosa ti ha presa tanto?”
“Lui. L’intesa. Il gioco di ruolo, la complicità. Il suo odore. L’eros.”
“Basta questo?”
“Se l’uomo in sé ti prende, sì: eccome!”
“Sempre quel target, eh? Mezz’età, impegnato, vitale, capace di godersi il momento.”
“E certo. Che ho il complesso edipico irrisolto non è una novità.”
“Perché ti prende tanto, uno di mezz’età con la vita ancora in circolo?”
“Perché mi fa sentire come la primavera. Mi pare di passare nella sua vita simile a una pianta carica di frutti. Lui stesso, dice una delle cose che lo avevano tanto attratto era la mia freschezza.”
“Mi sa che non è solo questo.”
“No. Credo che sia anche la capacità di comprensione: mi conosci.”
“Può essere; però nessuno dà niente per niente...”
“Già.”
“Che cosa vorresti in cambio?”
“Quella pianta, quel rigoglio: potere continuare a esserlo.”
“Come?”
“Che ne so. Andando da lui, per la strada gli chiedevo: serve qualcosa a casa? Mi ha detto no un paio di volte, ma ho portato i cioccolatini. Era stressato per il lavoro, sono qui e ti ascolto. Nelle comunicazioni non mancano i colori e i toni vividi. L’intimità, è acqua che scorrere in profondità… E la preside che passa e lo comanda a bacchetta, gli dico guarda che alla preside piaci e ti vuole dominare. Infatti cerca di tirarselo dietro tipo cagnolino. E lui a dire io non mi sottometto – ma poi si sottomette. E ha un sacco di amici e di cose da fare e poco tempo di requie. Ed ex moglie, e figli e attuale donna: quanto spazio rimane?”
“Evidentemente, gli piace sentirsi in balia di troppa gente.”
“Evidentemente sì. D’altronde, lo sa anche lui quanto fascino sappia esercitare. E gli piace.”
“Piace anche a te.”
“Ma certo! Però mi piace poterlo esercitare non solo su chi può trarne costrutto, ma specialmente su chi intendo ammaliare per me...”
“Eh, bè. Ci mancherebbe. Ma non basta essere presente quando ne ha voglia lui: c’è un’altra cosa, che vorresti.”
“Certo. Che sia presente quando lo desidero io.”
“E questo non è possibile.”
“No.”
“Ma non dipende da lui, questo.”
“No, infatti: tutti sono stati così.”
“Ecco, tutti. Amici, amanti. Vediamoli.”
“Prendi G***. Quando ha avuto bisogno, io c’ero. Quando è morta sua madre, o quando ha avuto voglia o bisogno di uscire, io c’ero. Quando un favore gli ho chiesto, mi ha rovinata. Ma a questo avrei dovuto essere preparata, dato il soggetto.”
“Continua.”
“S***. Sposato, con amante fissa, amanti q.b. e satelliti varie. Cosa pretendi di succhiarmi la vita, e che io ti dica che non posso fare a meno di te: tanto, non ci potresti essere, quando io avessi bisogno. E comunque, non sarebbe stata la verità: io di lui potevo fare a meno. Non ne ero innamorata. P***: quando gli chiedevo di esserci, e basta, per sostenermi, lui scappò. Per ritornare dopo, quando ha capito. S***. Che quando gli chiedevo aiuto andava in giro dietro a mezzo mondo come certi cani dietro a ogni passante – e , anziché sorreggermi in quel momento, mi pestava in testa dicendo eh ma io non ci sono. I***. Che si allontanò da me per ritornare con la sua ex che poi (grazie a Dio) ha sposato ma poi trovava un letto caldo da me – che, per carità, se non avessi voluto non l’avrei mica condiviso con lui.”
“Ma qualcuno di questi è tornato.”
“Certo. (…) [C’è chi] ritorna a ritmi stagionali. (…) ci confrontiamo a vicenda.”
“Bru’. Ci sono tutti gli altri.”
“Quali? Le avventure una volta e via (o poco più, per quanto alcune siano state belle e altre delle sciocchezze colossali anche dolorose), oltre a contarsi sulle dita di una mano, ovviamente non contano.”
“Ovviamente no.”
“Chi c’è? M***, D***, M***, e A***.”
“M*** non si può considerare: (…) [c’]è un gran deterrente all’innamoramento. Siamo realistiche: più che baciarlo e scaldarlo, cosa vuoi fare?”
“Questo è vero.”
“E anche M***: che c’entra lui.”
“Lui e A*** sono gli unici uomini che non mi hanno mai abbandonata.”
(…) “A*** c’è sempre stato. Ci ritornerei, a trovarlo. Quando potrò, lo farò. Ma non sono innamorata.”
“Però c’è trasporto.”
“No. C’è quell’affetto che c’è per chi sai che non ti lascerà mai cascare nel vuoto, e ne ha dato prova più volte. E lo stesso vale per me: credo che farei molte cose, per lui.”
“Ma non sei innamorata.”
“No.”
“E poi c’è D***. D*** è un bel ragazzo, e da un anno, gioia, è sempre stato presente nei momenti topici a tenerti al caldo.”
“Sì, fra tutte le sue donne credo di essere quella di maggior tenuta. Peccato che, a fronte dei bidoni che mi ha dato (io gliene ho dati di meno), sarà la terza volta che lo rimando indietro. Lo faranno santo. Nel cielo della Luna, lo mettono: tra gli spiriti difettivi. Mando una lettera a Dio (se la pianta di distrarsi, anche lui) per intercessione. Vediamo se tra poveri funziona.”
“Va bè, sei partita. Torna: poi ci sono quelli con cui è scattata fin da subito una bella intesa nel dialogo, nelle fantasie, ma non c’è mai stato nulla di più.”
“Quelli non contano. Sono conoscenti.”
“Quindi, di fatto, stringi stringi e filtra filtra, la cotta ti ha scottata.”
“Brà. Sei acuta. Sono tutta un fuoco, sono.”
“Ti ha scottata perché siete partiti senza limiti ma poi i suoi limiti sono sbucati fuori.”
“Eh.”
“Che cosa hai fatto, in questi venti giorni, per venirne a capo?”
“Ho taciuto. Non posso fare altro: così mi ha chiesto. Mi ha detto che si sarebbe trattenuto dal mandarmi messaggi. Io certo non gliene mando, tanto più sapendo che c’è lei.”
“Ma ti ha scritto.”
“Sì. per Natale.”
“Appunto. E hai risposto con un entusiasmo di cui poi ti sei pentita.”
“Esatto. Scusa, cavoli, avevo aspettato due giorni mezzo fiato, mi scrive giusto il pomeriggio del 25 nel mezzo del sonno postprandiale – dopo il pranzo da tacchino ripieno con la famiglia e col peso del suo silenzio per godersi l’amata pur cornificata – mi scrive un messaggio caldo e profondo, mi prende alla sprovvista!”
“E hai risposto come una bambina.”
“Sì. Grazie! Mi hai fatto una bellissima sorpresa :) Un abbraccio grande e buon natale a voi tutti. Bestia. Avessi avuto la pazienza di aspettare per pensarci, sarei stata in tono. Invece, guarda.”
“Ma c’è chi dice che tu abbia fatto bene a essere gioiosa. E a prendere un po’ le distanze.”
“Ma non sono io, quella. Non ero io. Io non ero gioiosa, ero tormentata dalla sua assenza, ero a pezzi e cercavo di ricomporli per mio conto. Donna speciale, mi dice: a tua sorella. Avrei voluto che in quell’abbraccio che mi mandava mi stringesse, invece. E non solo.”
“Bene. Ma, per quello che ti ha detto quando l’hai conosciuto, non ci sta già pensando più.”
Guello ghe giovanoddi dire e guello ghe penzare ezzere DUE goze, direbbe Mamy.”
“Eh, sì.”
“E quindi.”
“E quindi cosa? Ragazzina, qui le domande le faccio io.”
“E falle, allora, no?”
“E quindi, qual è la soluzione?”
“Intanto non precipitare.”
“Vero, Visto che quando lei è ripartita la prima volta e hai precipitato le cose, vero è che ti sei vissuta tutto il vivibile ancora, ma mi sa che non è stata la mossa giusta.”
“No, è vero. Ma avevo tanto di quel da fare che non ho avuto modo di fermarmi a pensare, ho agito di slancio. Meno di quanto avrei potuto se non mi fossi fermata in tempo...”
“Ma comunque, una volta che lui l’ha rivista, è ritornata la passione per lei e tu ti ci sei infilata senza molta grazia.”
“Con moltissima grazia, prego. Il problema è che in quel momento non dovevo seguire il desiderio ma fare un passo indietro e aspettare. D’altronde è pur sempre lui, quello impegnato. Io sono libera, per me è naturale e legittimo continuare a essere naturale, se una cosa mi fa stare bene. Per lui, invece, una volta che io ho saputo, sono diventata io quella che poteva anche allontanarsi.”
“È ’na fregatura, eh, quando l’uomo è sincero.”
“Sincero?”
“Diciamo sincero fuori tempo massimo: sincero con comodo.”
“Guarda, non so quale sia il male peggiore. Se il tradimento o la distanza.”
“Ma sì, che lo sai.”
“Invece no, dipende dal momento e dalle esigenze. Meglio essere stimata o essere amata?”
“Due in uno, pare che sia un’utopia...”
“Pare.”
“Va be'. Comunque. Dicevamo: che cos’è che stai facendo, adesso?”
“Aspetto. Quei passi indietro che non ho fatto prima di saperlo impegnato (ma se lui non avesse retto il gioco dei miei focosi desiri, non sarei andata mica avanti da sola...) – be', quei passi indietro li ho fatti adesso.”
“Stai ancora lì a darti le scadenze?”
“Progetti di scadenza ne ho fatti tanti, confabulando con G***, P*** e un’altra amica, che sono confusa tra il 9, il 15, il 16 e il 20 gennaio. In realtà, non so un tubazzo.”
“Bene. Meglio.”
“No, non è meglio perché poi leggo le carte. E le carte sulle sue prossime mosse sono un tragedia. La sola cosa buona è che io, come persona e come donna, ne vengo fuori che sono una meraviglia. Ma questa non è una novità... il problema è che da monadi si può essere uno splendore, ma è nell’interazione che lo splendore santifica la carne, mannaggia.”
“Piantala, scema, non ti disperdere.”
“No. Ok. Ho già pronto il messaggio che gli manderò fra alcuni giorni. Non domani, è troppo presto e io non voglio sembrare isterica, un episodio nella mia vita mi è bastato.”
“Sè, ma ’sto messaggio ha subito più mutazioni di una piantagione di mais...”
“E va be', l’importante è la sintesi finale, no? Certo, in realtà sarei indecisa fra due.”
“Dilli a me, figliuola, così non fai cazzate. Forse.”
“Uno sarebbe Mi manchi. Ma poi è melenso, che ne so io quello in che condizioni di spirito è, dopo tutte le vacanze con quella smorfiosa, gnè, gnè.”
“No, infatti, evita. Che poi, ti manca de che?”
“Be', ma mi manca.”
“Sì, ma già sei scoperta anche troppo, e poi potrebbe dargli fastidio.”
“Infatti non è quello che gli manderò.”
“Brava. L’altro è meglio. È la sintesi, appunto. Ristabilisce la comunicazione, se lui volesse, e non mette regole.”
“Magari così si vede che succede, anziché stare male e basta.”
“Ecco, infatti. E poi, la cosa fondamentale: è la verità.”
“Sì. È già passato al vaglio di P***, il quale lo ha approvato. Così come, di volta in volta, io sto facendo con lui. Bel momento, per due ex, il topico rendez vous a confortarci nei casini postumi insieme...”
“Prossime mosse?”
“Intanto, aspetto che mi contatti lui: vediamo se lo fa o se si tiene. Poi, se, mettiamo, giovedì o lunedì non ha ancora fiatato, gli mando l’sms.”
“Sì.”
“Se non mi accorda che ci vediamo, credo che avrò finito.”
“Credo anche io: dipende da quello che ti risponde, questo non è pianificabile.”
“Se invece sì, allora in teoria ci sono tre cose che gli vorrei dire. Una, le ragioni più e meno profonde della mia reazione a quella sera. (D’altronde lui le sue ragioni me le ha dette, io mi sono limitata a sentirmi spacciata.) Due, che mi dispiace di non avere capito di che cosa lui avesse bisogno (sempre che lo volesse), dopo il primo avvento di Sua Maestà Regnante. Tre, non lo dico.”
“Va be', tanto non dirai niente...”
“È probabile. O meglio: spero di non avere più bisogno di dire niente. O di dirlo in un contesto – ecco – confortevole. Se invece dovessi parlare, sarà il modo migliore, per me, di chiudere anche questa e andare avanti senza pensarci più.”
“Olè.”
“’Nzomma...”
“E va be', figghia. L’hai fatto altre volte, no?”
“Sì. E non voglio stare male. Anzi: non voglio essere sola quando sto male. Ma nemmeno con chiunque.”
“Questo lo sappiamo.”
“E l’incomunicabilità laddove c’era comunicazione spontanea, è male. Per una comunicatrice, poi, è come morire. Tipo infibulazione mentale.”
“Avanti, comunicatrice infibulata. Fumati ’sta sigaretta e correggiti i compiti, che ti riduci sempre all’ultimo nonostante tutte le vacanze.”
“Sono stata con la famiglia, uscita con le amiche, ho fatto l’amore venerdì notte, con D*** (giacché il Prof stava con la sua donna, anche a me, dopo un mese, ci voleva; più che altro perché, le volte che mi alzavo per fare pipì, lui nel sonno mi teneva stretta) e sono andata a ballare, posso?”
“Certo. Anche se sei un pasticcio, sei anche molto bella. Fuori, e dentro.”
“Grazie, lo so.”
“Ni cunuttamu.”

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