Erant olim in quadam civitate. [15/01/2012]

Non dirmi quello che devo fare, fa con un mezzo sorriso mentre io guidavo verso Enna.
Io te lo dico, poi tu sei libero di fare come vuoi.
E: Dici che questo cappellino mi fa vecchio?
Sì. Ed è proprio brutto. Ma copriti la testa, sennò ti ammali. E intanto mi diverto.

Forse è perché mi tieni testa.
(...)
Forse è perché a chi mi vorrebbe scaldare le sere, ora (soprattutto dopo [una certa] bieca sera illuminante nello yacht) dico: non voglio. E non voglio: e stavolta davvero non lascio nemmeno quel tanto di spazio che finora ho lasciato non solo per affetto ma per sostegno, incertezza, viltà e per paura di morire.
Forse è perché mi è piaciuto lasciarti divertire guidando la mia macchina nei fiumi di pioggia.
Forse è per l’odore di legna da ardere e per il caminetto.
Forse è per il tuo maglioncino grigio, per il mio vestito corto, perché anche soltanto nel ballo, fra noi, stavolta pian piano mi lascio guidare.
Forse è per la cura che hai di me, forse è per le mie braccia e le mie unghie leggere e i miei baci come pioggia, che chiedi ancora.
Forse è perché all’ora di pranzo nessuno dei due vorrebbe lasciare poi questo divano dove di notte siamo rimasti nudi a parlare seguendo il flusso (...).
Forse è perché ti ho “fatto sangue abbastanza sempre“ e allora mi sono messa a ridere; e perché cercandomi senza parere dicevi che ti piacevo a chi, fra i colleghi fidati, ti chiedeva, così come io di te cominciavo a parlare con le colleghe cercandoti senza parere.
Forse è perché anche tu mi hai intrigata fin da subito.
Forse è per i tuoi capelli impossibili da mettere in ordine, forse è per il tuo odore.
Forse è perché la notte nel letto (...) faccio le fusa nel sonno senza saperlo; ma anche nel sonno so che respiro dentro ai tuoi capelli, e come una bambina o un naufrago ti cerco il viso con le mani e con il corpo il corpo seguendo d’istinto quel palpito profondo: come faceva M*** quando la svezzavo al lobo del mio orecchio tenendola dentro una mano.
Forse è per questo struggimento con cui nella notte mi rifugio in te, e per questo struggimento lento, da tenere al caldo qui dentro, ora che nel giorno mi manchi; per cui non servono parole sprecate, prima di separarci davanti alla porta – se non, di nuovo: grazie.

Mi sento tutta sconquassata, ma sconquassata bene.
Stanca con sorriso idiota in allegato. Però è un sorriso idiota che, visto allo specchio, mi fa bella e luminosa.
Questo, non c’entra niente con la poesia.
Non me ne frega niente della poesia.
Te, sono pronta a viverti – così com’è, come stai facendo.

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