Under pressure [26/11/2011]

*** è entrato in casa mia.
Ha fatto qualcosa col computer, ha scoperto la mia password e cerca di usarla come fosse un suo diritto per farmi un favore: hanno già messo in ordine qualcosa in casa senza che io ne sapessi niente.
Me lo dicono dopo, quando arrivo; ok, ***, grazie di avere messo in ordine, adesso andiamo.
“Ma ho dimenticato la tua password...”
“Meglio così, la inserisco io quando sarò sola.” Ho un mezzo sorrisetto divertito – ci sono cose che non cambiano – ma qualcosa mi preme, dentro.
Hanno anche decretato che Minù non deve superare questa porta.
Ma io, fin da piccina, le ho insegnato che non deve aver paura di niente. E ora invece sta seduta nell’angolino a guardarci interrogativa, mentre mi portano via.

È stata messa in quarantena la città.
La Protezione Civile ha fatto il conteggio dei cittadini e sta girando porta a porta, casa per casa, per iniettare il sedativo.
Per le prossime ventiquattrore dormiremo tutti.
Saranno le ore del Buio.
Quelle in cui diventeremo delle cose orribili che non sappiamo.
Io non voglio diventare una cosa orribile che non so.
Qualcuno però potrebbe volerlo diventare.
Qualcuno lo vuole diventare, e si stanno organizzando per fregare il sedativo.

Sono in macchina, che guido.
Scende il crepuscolo, intorno a me. Nei fari accesi, un camion qui davanti trasporta un troncone di acquedotto, e rischio di finirci sotto, o sul guardrail, quando manca la luce all’improvviso in tutta la città per qualche tempo.
Il furgone bianco della Protezione Civile è fermo accostato al marciapiede, sulla destra.
Mi fermo, chiedo all’agente in tuta blu, una donna sulla quarantina, minuta e con i capelli corti, che cosa succederà adesso.
“È il crepuscolo, si va a nanna.”
“Tutti?”
“Sì, certo.”
“Anche voi?”
“Certo, anche noi. Addormentiamo tutti e poi ci addormentiamo. Arriveranno da fuori a salvarci mentre noi dormiamo.”
A salvarci o a sterminarci, penso io.
Ma non è questo, che mi fa più paura: “E se qualcuno non si lascia addormentare?”
“È impossibile.”
Ma io so: ho visto il film. (Il film???) Il film vuole che ci sia un gruppetto di esaltati, tre o quattro uomini, che vogliono approfittare dell’imperversare dei propri istinti per assumere il potere. O per viversi la follia come un momento di gloria.
Uno di questi ha anche lui la tuta blu come la signorina. È alto e forzuto, pragmatico nelle intenzioni e nei gesti.
La signorina è in buona fede, nella sua perplessità ai miei riguardi. Lui, invece, si frega le mani come se avesse terminato finalmente il lavoro, quando li ha addormentati tutti; ma io so che invece è un gesto come a dire: si avvicina il momento più succulento.
Un uomo in una centoventisette bianca si lascia sparare nella vena del braccio il liquido verde da una specie di pistola a stantuffo, si appoggia al sedile reclinato, socchiude gli occhi come se stesse per addormentarsi.

Notte.
Tengo una mano davanti agli occhi per non vedere di preciso che cosa mostra la tivvù.
La scena è su quelli che avevano l’antidoto: non si sono addormentati, si danno alle gozzoviglie, aspettano il loro momento di potenza incontrollata.
Si trasformano in qualcosa, non so che cosa, non li guardo apertamente mentre si trasformano.
Non sembrano mostri pelosi e zannuti: noi facciamo scienza, non fantascienza.
Ma diventano cattivi.
Cattivi.
Come se tutto il male bestiale che covano dentro, adesso, avesse libero sfogo e imperversasse in città.
C’è un fuoco acceso in mezzo a un pavimento e hanno fra le braccia un uomo – mezzo uomo mezzo capra – un sileno con inserti ossei nella fronte e con la faccia mite.
Stanno per arrostirlo, forse poi lo mangeranno.
E quando arriveranno quelli da fuori per ammazzarci tutti, noi della città
(come ad Albi: uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi)
quando arriveranno per farci fuori, ci saranno invece questi pazzi sanguinari ad ammazzarli o a contagiarli.
Dovevate ammazzarci quando eravamo buoni.
Preferivo morire per mano vostra, piuttosto che restare in balia di costoro.

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