Il signore del caffè [22/11/2011]

Certi siciliani sono figli dei suk arabi: non conoscono la mezza voce, i mezzi toni, e quando parlano abbìunu ùci. Quando spostano un oggetto, lo fanno di mala grazia: lo trascinano o lo sbattono per terra. La sentono proprio ontologicamente, l’esigenza di mostrare al pubblico che loro sono qui col loro banchetto colorato e che hanno merce da proporre: signura, taliassi cchi bbelli cacòcciuli cci avèmu ccà!
Va bene, questo: anche io amo i colori. Sono siciliana anch’io, no?
Ma il telefono squilla troppo, e troppe cose da fare e da risolvere, ora basta, il grosso è stato fatto, fermiamoci un po’ e facciamolo con calma e con misura, quanto c’è ancora da fare.
Invece, quando arriva l’idraulico e fa rumori e voci con i suoi strumenti, *** si infila sotto il mio piumone, con un breve miagolio di protesta: lei può farlo.
M’infilo sotto il mio piumone anch’io: basta adesso, lasciatemi da sola. Voglio pace e silenzio, sono stanca, voglio riprendermi i miei ritmi invece di subire ancora quelli altrui.
Forse il cabarettista, quando poi si ritira dietro le quinte e smette gli abiti di scena, ha bisogno pure lui di un brodo caldo e di lavarsi i piatti in santa pace.
Ma lo stesso poi si tira fuori dal suo cantuccio e va sorridendo incontro agli altri: gradite un caffè?

Invece stamattina ero io ad andare svelta incontro al signore del caffè, in punta di piedi per non fare risuonare i tacchi lungo il corridoio, tendendogli la mano con il mio soldino dentro, sorridendogli con tutti i denti senza bisogno di dirgli niente.
Si è messo a ridere e mi ha passato la bustina con le cialde.

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