Bambini e fole [01/11/2011]

“Chiuderò la porta a far star bene la tua assenza: ci sarà fedele sempre il cane del (rimpianto). I cavalli origliano quest’aria d’impazienza. A metà della speranza, io cambiai percorso. E poi non ho più corso.” Ho fatto il bagnetto a un cagnolino bianco peloso sporco di terra, stanotte in sogno.
Mia nonna sapeva sempre che cosa preannunciavano i suoi sogni.
Io, ogni tanto.

Per noi c’era il Topolino dei Denti.
Lasciavamo il dente da latte sul comodino, con la sua radice a punta arrotondata e una letterina per il Topolino, e l’indomani mattina il Topolino ci lasciava un regalino.
Chissà che cosa ci faceva, con tutti i denti di tutti i bambini del mondo, ci chiedevamo insieme.
Forse si era fatto una città tutta intera di denti - in pratica, d’avorio.
E chissà come faceva a razzolare tutti i dentini di tutti i bambini del mondo, ho chiesto un giorno: una fatica, non bastano tutti i minuti di tutte le notti del mondo, per tutti i denti di tutti i bambini del mondo.
Ma forse ogni famiglia o forse ogni città aveva il suo Topolino dei Denti.
Il nostro una mattina mi lasciò una penna che scriveva arancione, da tenere appesa al collo, e che profumava di arancia. E una letterina scritta con quella stessa penna. In certi momenti scriveva Squitt, come usano dire i topi, ma la scrittura mi ricordava un po’ troppo quella della mamma.
Per *** avevamo fatto esistere Babbo Natale, invece.
Un Natale si travestì per lei e per i cuginetti nostra cugina, con un costume da Babbo Natale rosso profilato in pelliccia finta bianca, un sacco di iuta pescato chissà dove, i miei occhiali, i miei scarponcini e una barba fatta di cotone.
Il sospetto a *** venne riconoscendo le mie scarpe, ma - anche lei - tenne da parte il sospetto e si tenne l’illusione.
Nella notte fra il 31 Ottobre e il primo di Novembre, a *** i morti portavano i regali.
Non so se siano usi tipicamente contadini, di sicuro l’ascendenza lo era. (I suoi vecchi erano latifondisti, o roba simile.) E i morti portavano un’arancia, o una formina di cotognata o di marmellata.
***, che andava curiosando, lo sapeva bene che erano *** a fare le veci dei morti e a portare i regalini. Non disse niente per tenersi l’illusione o il gioco magico di quei regali.

Oggi i nonni si baciano da giovani in cima a un colle, ma il nonno è morto a trentun anni e la nonna pochi mesi fa: così, nelle foto dove ognuno è da solo dentro al proprio ovale, lui sorride dai suoi trent’anni col sorriso di mio fratello e lei con il sorriso di una donna anziana.
Il nonno, dal ‘92, guarda il vuoto sopra la scala come sull’attenti da carabiniere qual era, mentre la nonna al piano di sotto sorride dal ‘95 - con il mio sorriso - alla tomba vuota di fronte a sé, quando non ci siamo noi a portare i fiori.
A noi non portano i regali la notte di Ognissanti, ma stanno comunque da qualche parte a osservarci quando occorre.

Qualcuno ha ripulito il terreno erboso, di nessuno, disteso fra la casetta e il mare che fa le fusa come un gatto gigantesco, verde e blu anche se il cielo è grigio.
(La donna in rosso alla finestra ha sparato l’ultimo colpo di fucile spezzandosi le unghie per troppo di passione.)
In fondo alla trazzera di terriccio bianco invece c’è il canneto che apparterrà forse a qualcuno ma non è recintato e che, a tutt’oggi come da bambina, ho idea di dove arrivi ma non ci sono voluta arrivare mai.
(La donna infine avrà una treccia bianca, fumerà la pipa, e custodirà quei pezzi di vetro ancora.)
Come una lapide su cui puoi solo posare, a volte, gladioli e rose in memoria dell’amore: è presente qui, in quest’assenza, quella stessa assenza che presente non tornerà più.

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