L’epilogo [01/10/2011]
Ah no, l’amore no. L’amore non è pop.
Gli operai entrano in un appartamento segreto.
Si levano le tute - e ridiventano uomini, donne.
E fanno l’amore.
(Ultimo tango a Parigi)
Di ricordi insepolti si può morire.
Così ho comprato i fiori di Bach per il panico e l’angoscia.
Ho comprato anche l’olio di mandorle per la pelle.
E adesso, oltre i sette colli, oltre le sette valli – al di là dei sette torrenti e dei sette castelli di cristallo – le colline scorrono.
Le luci brillano in lontananza come lucciole.
La luce del giorno e i suoi tormenti, dietro di me, si allontanano.
Non siamo fidanzati, non stiamo insieme, non ci sentiamo nemmeno ogni giorno. Metti ogni due o tre, a volte anche più di rado. E ci vediamo a cadenza lasca e irregolare.
Alla luce fioca del locale lilla senza avventori, lui parla finalmente rilassato dopo il raffreddore.
C’era il rischio di non vederci, per questo.
Nemmeno io sono stata bene.
Ha la barba di un paio di giorni. Ha le fossette. Mi tiene a sé, ho freddo.
È particolarmente bbeddu, questa sera. Me lo guardo da vicino mentre parla.
Mentre parliamo, voglio dire.
Il mare nero respira grande e lento, adesso.
Nella macchina che puzza di sigarette, fumiamo fuori dal finestrino.
Parliamo piano. C’è una pace.
Un discorso parte, un’impressione, un’illusione, un racconto, e poi spesso rimane sospeso a mezz’aria.
Si ricorda che all’inizio ero sempre impegnata. Che mi ha vista e si è detto: questa è ‘na bbedda carusa. Che le movenze e il tono della voce, poi, dicevano di più. E il ricordo dei nostri primi incontri. Giardini di Marzo. Castelmola.
La prima volta che ha fatto l’amore, la prima volta che è successo a me. Il mio matrimonio, le mie storie passate, le mie storie rubate, le mie storie sbagliate (a lui che propone una presenza e non impone pregiudizi sì, lo dico, che alcune mie storie – alcune scelte – sono ancora sbagliate), il mio amore impossibile, e il dolore la reazione l’errore l’ira funesta e i lividi. E sua moglie, i figli, ed è per ripicca che si tradisce, e le amiche, e le donne prese e lasciate, i corpi, le femmine e le ossessioni.
Questo mi dà da pensare. Ma dice guarda che tu sei un’altra cosa, non sai quel che c’è in giro, io sì, e anche se ti incazzi tu sei oro.
Ma non è vero, io ne conosco, donne a posto.
E tu non sai, ferita, che cosa posso diventare.
E poi cosa noi siamo, cosa noi vogliamo.
Perché non ti cerchi un uomo, sei di cuore tu, è di quello che hai bisogno.
Perché non voglio commettere lo stesso errore. Perché ho paura dell’inganno. Perché l’inganno è il peggiore tradimento. Perché non voglio né ingannare, né essere ingannata – ma non esiste uomo o donna che non inganni prima o poi. E perché, comunque, un uomo non si cerca: un uomo non è un obiettivo, è un percorso. Un uomo se deve succedere succede, e basta.
“Ho fatto una lezione prova di tango. Non so se proseguirò. Ma mi è tornato in mente Ultimo tango a Parigi, ho pensato a te, è per te che l’ho visto. Tu lo balli, il tango?”
“Poco, ho fatto un corso anni fa. Pieno di femmine affamate. Una aveva anche una gonna con lo spacco, era intrigante; mi ha fatto due moine e mi ha detto che voleva provare l’estintore.”
“Qual è stata la tua prima parola?”
“Non me lo ricordo, forse mamma. La tua?”
“Tappu.”
“Sempri strana, ha statu.”
“Il primo ricordo della tua vita?”
“L’incendio scappando dall’isola: avevano rubato il tappo del serbatoio e siamo passati attraverso le fiamme. Mio padre che dice a mia madre chista è a vota ca muremu.”
“Il primo viaggio?”
“A Roma, con mio padre.”
“Io sono stata in Grecia a due anni in carrello tenda, invece. Abbiamo sempre viaggiato molto. In carrello tenda, in camper, in roulotte, in tenda. Una volta eravamo al centro o al nord e vediamo questo corteo lungo, lungo, di persone in costume. Giravano un film i fratelli Taviani. L’ho poi visto decine di volte, penso che ti piacerebbe. Il sole anche di notte, si chiamava.”
Distende il sedile.
Ma perché non andiamo a casa?
Non si sente di fare strada, non è stato bene.
Ma non pare che abbia voglia di andar via.
Le voci si sono abbassate ancora.
Il tempo è lento.
“Qual è la storia più bella che hai avuto, dopo tua moglie?”
Quella con te, sussurra.
Lo sento appena.
“Come hai detto? Non ho sentito.”
“Non ho avuto belle storie.”
Mi distendo su di lui.
Il suo cuore batte lento, senza fretta.
L’ho sentito, quello che hai detto, gli dico sottovoce.
“E che cosa ho detto?”
“Non te lo dico. E poi l’hai detto tu che non ti devo credere.”
“Brava.”
Mi stringe un po’.
Gli bacio piano tutta la faccia.
“Anche se sono strana e m’incazzo e faccio le stronzate?”
“M-hm.”
Baci.
Sottovoce, dico Grazie.
Sono ormai le quattro e non vuole ancora andare via.
Nemmeno io, in effetti. Anche se ho mal di pancia e ho bisogno del bagno per via che il ciclo è arrivato, alla fine.
Si addormenta un’ora buona, mi tiene fra le braccia.
Lo bacio ancora, a tratti, mentre li ascolto, il mare e lui, respirare.
Non ho bisogno dei fiori di Bach, oggi: sono a casa.
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