La Conchiglia B&B [04/10/2011]
La donna grassa mi ha aperto la porta sorridendo. In una nicchia in fondo al corridoio c’è una enorme conchiglia dorata che spiega il nome del B& B.
Che bella che sei è la prima cosa che mi ha detto e la cosa che ha ripetuto più spesso nell’arco di quel giorno e mezzo.
Sorridendo mi ha mostrato la mia stanza, sorridendo mi ha detto no non c’è condizionatore, sorridendo mi ha mostrato il mio bagno personale – non in camera – azzurro nitido, grande come un salone, con due lavabi con un mare di specchio in cima, una lavatrice una doccia un gabinetto e un bidet.
Sorridendo mi ha detto io sono qui se hai bisogno giorno e notte. E mi fa vedere la sua stanza caotica, in mezzo un uomo annoiato seduto sbracato su una sdraio, un balcone aperto a far entrare il sole a picco, caos indistinto in cui non ficco gli occhi per delicatezza.
La notte ho dormito inondandomi tutto il corpo di alcol per far evaporare il caldo torrido afoso di quei giorni.
Acqua no, ché in camera non c’era.
Ho fatto anche due docce, quella notte. Passando trovavo, fino alle due e oltre, la donna dell’est satolla e sorridente che parlava, in russo ucraino slovacco o non so che, con una conterranea secca come una scopa e con la faccia aggrondata.
Se hai caldo lascia la porta aperta, mi ha detto, passa un po’ di vento.
Ma io dormo nuda, posso mica lasciar la porta aperta. Però sorrido: grazie.
La mattina sono uscita dalla stanza con un vestitino a fiori. Corto. Uno da dieci euro in questi negozietti per noi gente povera.
La donna dell’est in cucina friggeva uova e pancetta, l’odore si spargeva per gli stanzoni e li riempiva.
Entro a dare il buongiorno prima di andare di là a fare la mia doccia mattutina solita e togliere, fra l’altro, il lezzo di alcol che ho addosso dalla notte.
Un bambino sui dieci o dodici anni mangia insalata seduto al tavolo. Non parla, non solleva nemmeno la testa dal piatto. A un certo punto si alza, va dall’altra donna e dice, scontroso: Voglio. Ancora. Insalata.
Voglio. Ancora. Insalata.
Voglio. Ancora. Insalata.
Forse era malato, chi lo sa.
Io mi rincoglionivo ancora fra il sonno e il caldo. Lei però, generosa femmina, mi dice: che bella che sei.
Cavoli, coi capelli a carciofo, il sudore alcolico appiccicoso sulla pelle e gli occhi gonfi?
Ma, dice, mi donava quel vestitino.
Non capisco se certi complimenti immeritati siano fatti per incrementare l’autostima del destinatario o non, piuttosto, il valore aggiunto del mittente.
Non capisco bene, cioè, se siano sentiti o meno.
Ma intanto è sempre buona educazione dire grazie.
Faccio la doccia mattutina. Mi ritempro.
Esco sotto i portici trascinando il mio trolley da un quintale, pieno oltretutto di regali per il bambino da crescere.
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