Tapàllara [25/06/2011]
Fece la strada a piedi sotto il sole fino alla piazza con la statua di Cerere. Demetra per i greci. ’A Tapàllara per gli indigeni.
(’A Tapàllara, la chiamano: la dea Pàllade, pensando che sia Atena. E dicono che fra le due chiese di sant’Agata che si fronteggiano alla destra e alla sinistra della dea si apre una soglia da cui, le notti di mercoledì, vengono fuori spiriti e larve dall’oltretomba.
Una sera era seduta con il suo amico confidente a parlare davanti a un mandarinetto dopo la lunga passeggiata abituale. Lui ha preso il telefonino dalla tasca e, nonostante la tastiera bloccata, ha trovato una sfilza di 66666 tutti di fila.
Non è un tipo suggestionabile, apprezza la razionalità. Ma perfino lui si è inquietato.)
Fece la strada a piedi sotto il sole fino alla piazza con la statua di Cerere. Demetra per i greci. ’A Tapàllara per gli indigeni.
Girò a destra in via Consolazione e trovò il vico Maugeri. Dietro ’a Tapàllara la ragazza ci abitò tutta l’estate, fra un monolocale e l’altro. Il vico Maugeri è un vicoletto a fondo chiuso con un cancello che ne delimita un pezzo.
Oltre il cancello inizia un mondo parallelo fatto di piante, fiori e gatti sopra i tetti di tegole a spiovente.
Ci abita una strega bionda con un occhio di vetro azzurro che ha una figlia grassa ma bella che si chiama Flora e un gatto senza un occhio.
Si affacciò spesso, la ragazza, di notte fra le piante odorose, e il gatto la guardava dal suo occhio cieco in mezzo al buio sul gradino della scala di cotto.
(Come Pluto, il gatto nero. Anche se il gatto guercio non è nero.)
La strega è buona, si chiama Maria e le offriva il caffè quando la ragazza le portava in dono la marmellata o andava a trovarla e si sedevano intorno al tavolo a parlare.
La mattina si svegliava all’alba, i rivoli d’acqua scendevano giù per il pavimento per annaffiare tutte le sue piante e i gatti le si raccoglievano intorno miagolando il loro pasto.
Di fronte alla sua casa, ci sono le casette soppalcate.
La prima volta che la ragazza entrò nel suo monolocale, passeggiò su per il soppalco sentendo tutto il caldo e valutando gli spazi angusti. Sentiva lo sguardo di lui da sotto, sotto la sua gonna.
Il giorno in cui le consegnò le chiavi, si sedette sul divano rilassato, come a dire: Sono qui, vedi che vuoi fare.
Ma lei prese le sue chiavi e se ne andò.
Quando l’aveva conosciuta, lui aveva pensato che suo padre fosse il suo uomo e che le stesse prendendo un posto dove vedersi di nascosto.
Anche la signora Maria deve aver pensato una cosa simile.
A volte possono ingannare, le apparenze.
Lei che invece – doveva essere la seconda sera che abitava in quella tana – tornava pressoché trascinandosi in ginocchio dagli scrutini di fine anno e una sera la invitarono i vicini indiani a una cena srilankese. C’erano involtini di foglie di vite avvolti intorno a riso e spezie. E altri piatti a base di legumi e carne.
Ora, al contrario, c’è una maga con entrambi gli occhi sani e le lentine azzure che sta nella casetta di legno con l’odore di galline intorno.
Sua figlia le manda i messaggi che traboccano d’amore la mattina: Sei la gioia più grande della mia vita, il mio pilastro, e io ti amo.
La madre lo legge e poi sorride, e alla ragazza che assiste si riapre il cuore: fa bene ritrovare l’innocenza in questa scatola da scarpe vecchie.
La maga è andata subito al di là delle apparenze, e ora le dice: Mi facevi tenerezza. Vedevo che eri succube del dominio e della cattiveria, e non sapevo come aiutarti.
Ma poi ne è uscita, la ragazza. Si sbaglia e si corregge.
L’ex marito della pornostar è fiaccato dal diabete e dalle troppe pornodive. Arriva nel locale sorretto da un avvocato e seguito o preceduto da una bionda bambola gonfiabile semovente.
Dice è una pornostar. In effetti all’una o all’altra categoria pareva appartenere. Niente di male, la ragazza ammira e stima Moana Pozzi. Femmina verace e donna di cuore.
Invece questa ha il naso a punta, le labbra gommose e gli zigomi fissi in una maschera sorridente inespressiva e rigida.
I ragazzini sbavano.
Lei si chiede che ci trovino.
Glielo chiede. Dicono che la gomma gli piace.
Strano: al di là del tipo femminile che una donna può apprezzare o meno, lei nemmeno l’uomo plastificato l’ha mai attratta. Non le trasmette nulla.
Al tavolo accanto, i due sui quaranta o sui cinquanta sembrano tesi come due corde tese. Lui fa il grand’uomo padrone della situazione e dà del tu al padrone del locale, lei sorride o ride come senza sentire nemmeno quello che si dice.
Vanno via presto con l’aria di chi pensa a ciò che seguirà.
Una coppia oltre i cinquanta – bassini tondi e forse stanchi tutti e due dopo una settimana di lavoro – si allontana invece mano nella mano verso la macchina con calma.
Come per uscire a riveder le stelle.
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