Sull’ossitocina e le sue proprietà [06/07/2011]
‘Ως τρίς άν παρ’ασπίδα
στηναι θέλοιμ’ αν μαλλον η τεκειν άπαξ.
(Euripide, Medea, vv. 250-251)
Non sono molte le cose di cui ho paura.
Una cosa che mi fa venire i brividi sono le falene. Quelle farfalle notturne grosse e svolazzanti come cieche che dove passano si appiccicano. Tipo i capelli.
Ieri ne è entrata una in classe. Avrà avuto qualche problema di jet lag, visto che era giorno e c’era pure sole e caldo.
Anche gli scarafaggi – altrimenti detti blatte – mi danno un discreto voltastomaco con brivido lombosacrale abbinato in appendice.
I pipistrelli no. Una quindicina di anni fa o più ne ho avuto uno a venti centimetri perché era un cucciolo e dormiva appeso accanto alla saracinesca del garage. Mi sono avvicinata per guardarlo bene, non era mica brutto.
Nemmeno i topi sono brutti. Quelli piccoli di campagna. I ratti sfido chiunque a non starne alla larga, con le zanne e la rabbia, la scabbia e la lebbra che gli circola per il corpo.
Un topino di campagna una volta mi è passato sopra un piede scappando via da qualcosa. Era bellino, piccolo tondo e bianco.
Poi lo hanno preso con le trappole, mi ha fatto una pena.
Le blatte e le falene no, non mi fanno pena. A volte anche le farfalle mi danno il brivido. Quando ti sfarfallano leggiadre intorno al corpo e non hai come cacciarle. Pare che più le cacci e più ti si affezionino.
Mi fanno impressione in genere i movimenti leggeri frenetici e frullanti e il solletico schifoso di aluzze, fragili zampine e mobili antennine.
Però di solito, al di là della sintomatologia da panico che fa capolino in questi casi, mantengo un certo autocontrollo.
Una volta mi è sbucata una blatta grossa come due dita fuori dal colletto del cappotto nuovo appena ritirato.
Ho cominciato a urlare ma ne ho un ricordo vago: nel frattempo ho preso il cappotto, a rischio che la bestiaccia mi si arrampicasse su per la mano, e l’ho portato fuori dalla stanza e dal balcone per buttarlo via.
Non il cappotto, lo scarafaggio.
Sotto gli occhi di *** intervenuto in mio soccorso.
Un’altra volta, in quegli anni, è entrato un altro bestio del genere dalla finestra del bagno a Lampedusa.
Il coraggioso fidanzato si è rintanato sul letto tirando su le gambine con elegante fare da donzella impaurita, e ha chiuso la porta con me fuori assieme all’animale.
Il quale è stato coraggiosamente affrontato e sconfitto da me e dall’amico comune la cui donna intanto ignara riposava nella loro stanza.
È il gioco delle parti, a quanto pare.
Forse avevo dodici anni, invece, quando Salvathore – Turi al secolo – di V*** mi ha infilato uno scarabeo giù per la schiena sotto la maglietta.
Gli scarabei mi hanno fatto sempre una certa simpatia, così tondi lenti e paciosi. Sentire le zampine sulla pelle però mi ha dato un disgusto significativo che tutto il vicinato deve avere apprezzato quella sera grazie ai decibel.
Ma forse è solo che non avevo ancora imparato a non avere paura delle cose.
Certo non so come oggi reagirei se mi infilassero di nuovo uno scarabeo nella maglietta.
Ora ci sono studi recenti sull’ormone del coraggio.
Si tratterebbe dell’ossitocina.
La quale, dicono, è un ormone correlato con la capacità di affrontare le paure: dicono che pur non eliminando la sintomatologia della paura, anche se te la fai sotto al pensiero di una cosa, grazie all’ossitocina vinci te stesso e la affronti.
Ma, fondamentalmente, l’ossitocina è correlata anche:
a) con le contrazioni uterine;
b) con il parto;
c) con l’allattamento;
d) con l’autostima;
e) con la capacità di entrare in empatia con gli altri, la cordialità e la fiducia;
f) con l’innamoramento; il che costituisce, a dir poco, un bel problema.
Di fatto, da profana, mi sembrerebbe un ormone più che altro femminile: così a intuito, mica il maschio ha bisogno di produrre i quintali di ossitocina che ci devono volere per affrontare il parto.
Quindi non lamentatevi per le uterine lune: tutto è fatidico, forse provvidenziale.
Perché, se l’uomo è fatto per essere felice, la donna invece ha bisogno di essere forte.
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