Niente. [08/09/2011]

Seppelliamo i nostri morti

per imparare a vivere da vivi.

 

Ballavo il can-can, bambina di undici anni con la gonna nera e le balze arancio di tulle sollevate.

L’albero di ulivo dove mi arrampicavo solo io, per sedermi in cima al ramo orizzontale e leggere, o scrivere, e guardare dall’alto gli alberi e le fronde, e il cielo.

*** col vestito grigio e il cappello in testa, composto impettito in ordine da carabiniere con le braccia dietro la schiena. *** accanto a lui, piccola tonda storta dall’artrosi come pian piano diventa ***, con lo sguardo triste – lo stesso sguardo triste che hanno le mie foto da bambina.  Le loro tombe troppo lontane dopo la prigionia e le lettere di lei inviate solo a *** senza sapere un indirizzo e arrivate tutte insieme all’improvviso – e il ritorno di lui una notte con la sua sacca di jeans sulle spalle.

*** nell’ultima foto sulla tomba dove si baciano in cima a un prato, chini l’uno verso l’altra come ragazzini. La morte di lui poco tempo dopo, la lunga morte di lei e, nonostante tutto, la vita. La fisarmonica rossa sullo sgabello e poi accanto al letto di morte di lei, il suo corpo di ragazzo diventato ossa cenere e capelli in una scatola di zinco.

I pennarelli nuovi, le filastrocche, la gonna a pieghe, la varicella.

La sedia a rotelle, *** a due mesi portata sotto la giacca per fargliela accarezzare.

 

Quando se ne andò via dalla mia intimità – dalla mia casa, dalla terra mia – senza dirmi niente, mi lasciò in un tale abisso di prostrazione, di disperazione.

Toccavo le pareti per sapere se esistevo ancora, nonostante non ci fosse lui – e le pareti erano fredde, e io non esistevo.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letture orientali: osservazioni in due tappe

Come le tende di Kedar [14/12/2011]

It hurts. [25/12/2011]