L’età dell’innocenza [22/07/2011]

Il mio cellulare sta per morire. Per scrivere un messaggio manca poco che debba usare martello e scalpello sul tasto def e su cancella. Questo perché l’ho fatto cadere tante di quelle volte, urtandolo sul comodino per spegnere la sveglia, o mancando l’apertura della borsa, o lasciandomelo scivolare dalle mani, che ha deciso di suicidare intanto i tasti e il monitor e prima o poi anche se stesso.

La fretta e le distrazioni si pagano.

*** invece ha avuto un cellulare nuovo per un mese forse. Uno bello, (...) col pallino da girare per fare scorrere le scritte. Poi è ritornat* al vecchio antidiluviano macinino che però, a differenza del nuovo troppo avanzatissimo modello, è utilissimo: a) per essere usato nella sua veste ufficiale di telefono e b) per la custodia dentro cui (...) tiene i suoi pizzini di carta su cui appunta le cose da ricordare.

Allora il nuovo lo ha passato a me e adesso sto lavorando per passare la rubrica da un telefono all’altro. I messaggi non si può.

Messaggi arrivati ne trovo cinque o sei dei suoi, invece. (...)

Uno è mio (...).

(...)

Altri due invece vengono da un numero che non riconosco. (...)

Uno è un messaggio di buon compleanno.

L’altro dice solo: ti amo ti amo ti amo ti amo ti amo...


(...)

Io ti amo non lo dico più da tanto tempo.

Le ho misurate sempre, le parole importanti. Le dico solo se ci credo. Molte le devo pensare senza dirle, perché non sarebbero comprese o non sarebbero accettate.

Hanno un peso, le parole. E una stessa cosa può essere chiamata in mille modi.

Un amico può essere un amante, un amante amico, una stessa persona può essere romantica o greve, simpatica o intollerabile in base allo stato d’animo del ricevente, per una stessa persona puoi provare insieme passione, odio, tenerezza, amore, dolore, nostalgia, indifferenza.

Come fai a dire che cos’è una cosa, se ne è così fuggevole l’essenza?

Allora non dico ti amo: perché di volta in volta voglio bene, sto bene, desidero, apprezzo, stimo, sogno, vivo, condivido, mi abbandono, do e ricevo, sento, interagisco, gioco, me la godo, ma non amo. Non in quel senso completo e pervasivo dell’anima per cui si dà piena fiducia all’altro fino a consegnargli totalmente il proprio essere.

 

Come la gatta quando la notte fa le fusa all’improvviso e mi cerca emozionata tutto il corpo per darmi i bacetti. Lei lo sa, allora, che io sono il suo assoluto inconfutabile diritto affettivo ed emotivo.

No, da tempo proprio questo non lo faccio, non nello stesso modo emozionato totalmente abbandonato e fiducioso: non ho, io, nessun assoluto inconfutabile diritto affettivo ed emotivo.

La perdita dell’innocenza si paga. Perciò ti amo non posso dirlo più. Lo sapevo, quando ho scritto Circe. Non so se sia così per indole o per le circostanze della vita.


Sta di fatto che dire ti amo perlopiù sarebbe un inganno.

Talvolta, è un inganno anche non dirlo.

La strada davanti è costellata di autogrill e camere d’albergo.

Dove trovi sempre qualcuno con cui scambiarsi pelle e odori, mentre vai senza sapere se è la strada giusta verso casa. Chiedendoti - a tratti, giacché la vita va vissuta dai vivi - perché indietro non si torni.

È lunga, questa strada, a volte.

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