Il sole anche di notte [23/06/2011]

Il mio verbale è tutto ordinato, scritto con la penna blu e la scrittura tonda come tanti cosi tondi messi in fila o un susseguirsi di ghirigori sghembi.

Ma preside, che ha fatto? Ha scritto in nero?

Solo penna nera uso io.

Non lo faccia mai più, mi rovina tutta l’estetica!

 

Battisti sulla strada del ritorno canta Emozioni come quando in viaggio ascoltavo We fly so close di Phil Collins guardando la coda del tramonto lontano dal finestrino del camper.

*** ancora piccolissima diceva È troppo malinconica. Era come se mi dicesse: Tu, chi sei veramente?

Una fontana in un altro posto in un altro tempo in una piazza, e *** si era rasato per la prima volta in vita mia.

Non l’ho guardato dritto in faccia per dei giorni: non volevo vedere la faccia di un estraneo al posto della sicurezza della sua barba morbida.

Eravamo, anni dopo o anni prima, alla fine di una strada, in una radura con la ghiaia in terra.

C’era un bosco intorno mentre calava la sera. La notte ho sognato i lupi che sbucavano dal folto del bosco e ci accerchiavano, e *** che toglieva loro un segno nero dal muso e mi diceva vieni, avvicinati. Ma io avevo paura. Erano tanti, erano pericolosi. Come poteva lui dirmi Dai, vieni, invece di proteggermi?

 

Il cielo era grigio, le colline verdi, una lunga fila di donne in grembiale bianco, un carro con un ciuco, un alberello spoglio e appesi pezzi di fotografie.

Giravano questo film i fratelli Taviani. Dove la ragazza indemoniata arrivava dal santo eremita, senza quasi parlare, come un animale morbido e discinto con il seno e il ventre in fiamme da salvare.

Poi l’ho guardato decine di volte, in quegli anni, questo film.

 

Ho sognato di notte che le mattonelle si svellevano da sole e la terra tremava mentre lo cercavo in una casa grande, grande, una villa in mezzo agli alberi come un labirinto di stanze immense e antiche.

Saltavo giù dalla finestra perché lei mi aveva vista ma nascondermi non mi serviva.

Me n’ero andata o se n’era lavato lui le mani, ma è ritornato più avanti. Mi ha aspettata in silenzio sotto casa. Aveva gli occhi bassi seduto sul motorino. La mia amica che lo ha visto mi ha detto arrabbiata: Non farlo salire in casa, sciocca.

Ma gli volevo bene, e non si chiudono le porte a chi si vuole bene.

Le sue mani mi stringevano la testa al petto, sotto la doccia, e cantavamo. La notte mi ha tenuta stretta mentre ero di spalle: come per tenersi, finalmente.

Gli ho accarezzato le guance mentre mi diceva: ho perso le scarpe da notte da bambino perché qualcuno mi ha preso e sollevato in aria facendomi girare di là. Non era un sogno, e di me ho paura.

Gli ho detto Sì, ho paura anch’io.

Ci siamo tenuti abbracciati tutta la notte, perché mi stringeva come per non perdersi da solo e lo stringevo perché non ci perdessimo, da soli.

 

La strada è bloccata, di nuovo. Si fa un giro lungo per ritornare sulla provinciale, li ho provati tutti, fra ieri e oggi.

Ora provo un’altra direzione.

Una macchina davanti a me fa la stessa strada.

Magari pensa che la segua, ma non è vero.

Cerco solo di seguire da lontano il percorso della provinciale: prima o poi qualche strada mi ci porterà.

Non sempre però la mia logica coincide con la logica.

Infatti mi ritrovo in una strada che man mano diventa un sentiero sterrato.

Non si capisce dove porti, forse da nessuna parte, forse in qualche villa o forse altrove, di sicuro non sulla mia strada.

 

Una cosa simile l’ho sognata l’altra notte, ma nel mio sogno era notte e in fondo c’era un cimitero.

Stavolta non mi sveglio: non si può.

Quando ormai è quasi un budello, faccio inversione e torno sui miei passi e ritrovo in breve la via giusta.

Ma di nuovo, alla fine, poco prima di quel posto dove ho investito un coniglio l’altra notte piangendogli poi addosso tutto il senso delle illusioni d’innocenza perdute, una galleria mi coglie all’improvviso buia e senza luci.

Come un’altra galleria in un altro sogno, che significava: morte.

 

Invece sono viva.

Mangia la foglia, varca la soglia.

Mangiati il fiore con tutte le spine.

Fuma Madre Etna da lontano nella sera rosa.

Finché fuma e scuote un poco i fianchi, è linfa vitale che funziona e non esplode.

Il sole mi ha bruciato la pelle di un braccio e ha lasciato l’altro più chiaro.

L’aria che entra è rovente e brucia, e fino a sera non rinfrescherà.

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