Fonte Aretusa [16/06/2011]
E dove guarderò la notte,
seppellita nel mare?
Mi sentirò morire
dovendo immaginare
con chi sei.
Autostrada di notte, verso Siracusa.
Allo svincolo, dopo chilometri di buio, superi quelle stesse indicazioni per il teatro greco dove c’è ancora l’eco di Medea.
Passi poi davanti a quel posto dove un’altra notte di un anno fa, seduta o sprofondata in una sedia di plastica, ti sei trovata altrove e hai tremato e pianto per il freddo o per l’angoscia di qualcuno. È chiuso e buio adesso, o così sembra. Ma non è vero, è sempre qui, è dappertutto.
Lo riconosci di passaggio, non puoi fermarti a guardare perché è troppo profondo e non ci è dato piangere, ragazza.
Così procedi fino a Ortigia e ti fermi davanti alla Luna sbucata da poco fuori dall’ombra della terra, sul mare.
Sembra una grande laguna increspata appena, fianco a fianco al grande amore di una vita fa.
Era tempo, dopo questi anni, di incontrarsi faccia a faccia e ricordarsi quanto parlavate e come giocavate così lontano nel tempo e nello spazio.
Di bere birra e di mangiare la tua fetta di limone e anche la sua, il realistico antidoto aspro alla dolcezza andata dei ricordi e dei racconti.
L’Hotel des Étrangers è un palazzo antico con i comfort di una suite.
Il balconcino di pietra chiara e di ferro battuto guarda sulla piazza con la fonte della tua Aretusa che nessuno deve profanare fra ciuffi di papiri.
Chiacchieri con la stessa chiacchiera con cui chiacchieravate.
Si domina dalla finestra aperta lo specchio di mare chiuso dalla costa di fronte.
O, solo, si guarda dall’alto: e, da lì, quel che sembrava ampio e lontano è così vicino da poterlo toccare.
Ma siete stranieri nella notte. E perciò è da fuori che ti senti esclamare: Che meraviglia.
Lo hai accantonato, a quei tempi quando è sparito e ritornavi e ritornavi negli stessi posti e anche per questo ormai puoi ricordare tante cose.
E da tempo quel che gli chiedevi allora non lo cerchi più – non in lui. Così ora vi tenete fra le braccia, come per riscaldarvi per un po’ col fiato.
Ma non la senti, né ti trascina, l’emozione di una volta verso quelle altre dimensioni.
Per questo avrà tremato lui, non tu.
E forse lui pensa a lei ora: perché ognuno è diventato un mondo a parte che si incrocia per ricordo.
Tu stai sempre lì nell’acqua, da tutt’altra parte, sutta ’e maliritti petri.
Lo specchio sono io e niente deve trapelare.
E fa paura intanto illudersi o pensare di conoscere quelle altre cose per osmosi. Quando basterebbe, anziché saperle, viverle.
Sarei felice, altrove. Che cosa ci faccio io qui adesso, che cosa.
Bisogna salutare e andare via per tempo sorridendo al portiere di notte e a questo specchio d’acqua azzurro e rosa all’albeggiare.
È facile andarsene, quando tutto il sentimento è oramai solo l’affetto per un ricordo distante anni.
Dormirai poi a tratti di giorno combattendo ancora per toglierti da dentro quello da cui cerchi di scappare.
Ma dove scappi ragazza in minigonna, dove credi di andare.
Non vai proprio da nessuna parte.
Cerchi di scappare via da quello verso cui non puoi scappare.
Ti cacci via da te fino a sfiancarti, e a che cosa ti porta tutto questo.
Ti riporta sempre indietro, a ricadere lì dove se solo potessi.
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