Dal buio oltre le grate [25/08/2011]

Sedevo nella penombra della chiesa.

San Placido è la chiesa dorata di un complesso monastico benedettino.

Il primo monastero crollò del tutto durante il terremoto del 1693 che rase al suolo la città: fu ricostruito, come la città, nella prima metà del Settecento e ora presenta i tratti tipici del barocco catanese.

La facciata è concava, plasma e modella lo spazio come nel Barocco si usava. Stefano Ittar, il polacco, la realizzò come un abbraccio.

San Benedetto e Placido, santa Scolastica e Gertrude, stanno a forma di statua sui due livelli della facciata.

All’interno, predomina l’oro e il bianco alle pareti. Poi marmi intagliati come pavimenti e nell’altare maggiore, quello che si usava prima del Concilio Vaticano Secondo.

I paliotti degli altari laterali sono marmi bianchi. Recano scolpiti bassorilievi con scene tratte dall’Antico Testamento e altre tratte dalla vita di san Benedetto e di san Placido, suo discepolo e martire in Sicilia per mano dei Saraceni.

Due dei dipinti sono di autori che ho dimenticato. Gli altri tre – i più importanti – sono un’Assunzione della Vergine, una Cena di Emmaus e un Sacrificio di Gedeone. Sono di Michele Rapisardi, di metà Ottocento, con una carica simbolica e un’energia caravaggesca tali, nella plasticità della luce, nella rappresentazione delle stoffe e nell’espressione dei volti, che stavo lì per ore a guardarli quando non c’erano visite.

Me li studiavo. Leggevo la storia del tempo e le fonti da cui lui aveva tratto ispirazione. Mi lasciavo risucchiare nel loro spessore simbolico e rappresentativo, nelle tecniche e nella struttura compositiva ora circolare ora diagonale ora quadrata, e, quando poi qualcuno veniva a visitare la chiesa, stavo lì per minuti interi con la sensazione di guidarli per mano, con le mie domande e le loro impressioni, fino a far loro cogliere pian piano il senso riposto delle cose.

 

Nei tempi morti, stavo anche seduta al tavolo e leggevo.

Guardavo in su le grate dorate – queste gabbie ricche per il surplus di donne delle famiglie di lusso – le grate dorate lungo la navata, in alto, e la grata del coro simile a un vascello dalle linee orientaleggianti, sul fondo della navata.

Tutte le suore rimasero sotto le macerie nel 1693. Soltanto tre ne sopravvissero.

I loro volti guardavano ogni tanto dal buio oltre le grate e mi vedevano seduta col naso all’insù.

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