Letture orientali: osservazioni in due tappe

24 settembre 2023.

Mi sono rifiutata per anni di leggere Murakami.

Perché?

Perché, quando avevo una ventina d'anni, mi fu regalato un romanzo di Banana Yoshimoto, che trovai piatto, asettico, senza linfa.

Insomma, una noia infinita condita di non poco fastidio.

Allora mi convinsi che in Giappone avessero un modo di pensare e quindi di scrivere simile a quello di Banana Yoshimoto, cioè per me insopportabile.

Come se li facessero in blocco, in serie, identici gli uni agli altri.

Che pensiero sciocco. Un pregiudizio spregevole, in effetti.

 

Per questo, fino a qualche giorno fa, mi sono detta: Murakami è giapponese, sarà uguale.

Poi mi è saltato il grillo di verificare.

Sto leggendo "La fine del mondo e il paese delle meraviglie".

Sono quasi a metà.

Mi sa di Kafka, e io Kafka lo adoro.

Mi sa di Kafka ma è una cosa diversa: forse perché Murakami è meno labirintico e prima o poi un senso al labirinto in lui lo trovi, a differenza che in Kafka. (Ricordo ancora, fra le molte cose, il beato smarrimento nella follia del romanzo incompiuto "Il castello"...

Ecco, a quegli estremi non vedo arrivare Murakami.)

Insomma: mi piace. Cioè, la vicenda mi fa venir voglia di andare avanti, anche per capire.

Lo stile non mi convince ma questo potrebbe dipendere dal traduttore.

Ah, e già che c'ero ho abbattuto un pregiudizio.

Tutto qui.

Cià.

 

***

 

02 ottobre 2023.

 

Ho finito di leggerlo la scorsa notte.

Il mio primo Murakami, dico. Quello di cui ho parlato quassù quando ero appena a metà.


Premessa:

So bene che tutto quanto è oggetto delle seguenti osservazioni ha una motivazione relativa a simboli o allegorie e loro significati.

Purtroppo, però, la trama ne risente comunque.


Osservazioni in ordine sparso (CON SPOILER):

 

1. Ma dare un nome proprio ai personaggi no? E perché? Almeno spiegacelo, Kami, su.

P.S. È chiaro che i personaggi intendono essere più che altro dei riferimenti quasi allegorici, o archetipici, e tuttavia sono personaggi. Nomi parlanti potrebbero sposarsi all'intenzione in un'ottica di migliore leggibilità.

 

2. Ingenuità a non finire. Per esempio, la "ragazza grassa" sa tutto di quel mondo sotterraneo dove conduce il protagonista con la sicurezza di una vecchia guida alpina (eppure anche per lei è la prima volta), le congetture di lui e dei suoi aiutanti sono sempre azzeccate, mai un errore o una sbavatura nelle loro previsioni.

Inverosimile.

P.s. L'allegoria va bene, ma anche Virgilio è figura allegorica in Dante, eppure tutto ciò che fa è sia trasparente sul piano dell'allegoria, sia coerente sul piano letterale.

Si può fare: facciamolo.

 

3. Il vecchio è un supereroe, indistruttibile. Ma va'.

E poi, da quando ricompare la nipote, non c'è un grammo di pathos (che peraltro scarseggia in tutto il romanzo): siccome lei dice che di sicuro sta bene, sai già che lui sta bene davvero. E non per due pagine, ma per decine.

P.S. Va bene l'archetipo/allegoria, ma vale quanto al punto 2.

 

4. Il pescione unghiuto e gli Invisibili: a che servono? Il pescione non si vede mai, gli Invisibili si intuiscono appena.

Capisco che hanno il solo scopo di creare pathos (?) tramite la mera aspettativa, ma va tutto troppo liscio, troppo sempre. E poi dai, non fanno mai niente...

P.S. Archetipi/allegorie, lo sappiamo. Ma la sostanza non cambia.

 

5. I Semiotici come diamine hanno fatto ad accordarsi con gli Invisibili? Va bene, dice ci sono macchine adatte alla traduzione.

Ma gli Invisibili sono bestie fameliche cieche, come fai ad avvicinarli senza esserne divorato?

Incoerente.

 

6. La rimozione dei suoni iniziale a che serve? Inutile ai fini della trama complessiva: trovagli un senso, Kami, oppure toglila.

P.S. Immagino che anche questo elemento rientri fra quelli simbolico-allegorici sottesi. Tuttavia viene poi lasciato cadere senza che ne risulti chiaramente leggibile il significato nell'economia del romanzo.

 

7. Il sistema dei livelli di coscienza del protagonista viene spiegato e fin schematizzato dal vecchio a un certo punto.

Un robo cervellotico senza costrutto, tanto più che dei tre livelli ne emergono, nel romanzo, solo due.

 

8. Refusi ed errori non mancano, benché siano meno numerosi di quelli che trovo nell'editoria di oggi (il romanzo è di fine '900).

Io non li tollero, i refusi e soprattutto gli errori.

Un paio di questi ultimi mi sono rimasti impressi: "novantatré" senza l'accento, e un plurale che doveva essere in -gie (in quanto il gruppo è preceduto da vocale) viene reso in -ge.

Per fortuna sono pochi, ma già così mi viene prurito al cervello.

P.S. Questo rientra però fra i problemi redazionali: l'autore non ha colpe, in italiano.

 

9. Lunghe tirate di pagine e pagine di camminata in labirinti bui, o di riflessioni superflue. Non era necessario allungare il brodo, su.

P.S. Per quanto anche in questo caso il riferimento profondo sia il percorso interiore del protagonista, sul piano letterale resta un eccessivo rallentamento: si sarebbe potuto fare meno, anche perché l'esito è noioso.

 

10. Le scene e i riferimenti sessuali. Il modo in cui sono inseriti e trattati nel testo li rende nella maggior parte non solo piatti e insipidi, ma fin fastidiosi.

Non so se questa sia una caratteristica di questo romanzo o di tutto Murakami, cioè se sia un effetto ricercato (possibile, e in tal caso fa parte della personalità del protagonista e dei personaggi e allora amen) o se riguardi la personalità dell'autore (e in tal caso finisce per essere inopportuno).

A ogni modo, in sé, mi ha urtata. Ma può essere un problema mio.

 

In sintesi: leggi fino in fondo perché vuoi capire gli snodi cruciali e vedere come va a finire. In questo senso, si legge.

Di certo non parla del nulla come faceva invece la Yoshimoto.

Però, dai. Tra sufficiente e discreto, ma mica mi pare 'sta cosa strepitosa di cui tanti cantano le lodi.

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