La tana del carabiniere [07/03/2011]
Sta seduto
nella sua nuvoletta leggera di profumo vago come di borotalco o fiori piccoli.
I capelli
sembrano una parrucca da clown di quelle piene di boccoli. Però sono castani,
non biondi, men che meno verdi o viola.
C’è qualcosa,
nella barba brizzolata di alcuni giorni e nella forma del mento, che mi ricorda
due altri uomini.
Ha una bella
bocca e un bel sorriso dolce, denti piccoli e leggermente disordinati.
Da 47 anni a
questa parte, legge e studia il Vaticano e i suoi scheletri negli armadi di
legno intagliato. È arrabbiato con la chiesa. Che sono anche d’accordo, per
certi versi. Solo che si basa perlopiù su pregiudizi altrui trasmessi per via
romanzesca, e non ha letto invece da se stesso in prima persona delle cose che
gli dessero una misura storica provata delle sue stesse affermazioni. Altre
invece le ha lette. Anche alcune che io non ho letto, ed è molto.
Però ha
anche conosciuto molta gente viaggiando e fuggendo in questa vita, e allora ha
la generalizzazione a portata di mano, ma col beneficio del dubbio. Dice che il
calabrese è cattivo e che il siciliano invece ti riempie di attenzioni che
manco ti lascia respirare, ma che è fondamentalmente e sostanzialmente buono.
Ama
prendersi i suoi spazi e ritrovarsi, rintanandosi nella sua tana di mare cielo
lava e colori vividi ma senza nessuno.
Come molti
facciamo ma non tutti e non tutti nello stesso modo. A me sembra che lui, più
che vivere, nella vita ci sgusci attraverso con un po’ di senso di
inadeguatezza e un po’ di ideali da anticlericale anarchico per disillusione
prolungata. Con desiderio di un calore da qualche parte con discrezione per non
pesare o per non farsi fare del male.
Infatti
gesticola poco, sta come rattrappito dentro le sue stesse spalle. Forse è
timido, mi fa pensare a qualche animale mite che si sia sentito ferito tante
volte da avere optato per l’ascesi eremitica meditativa limitando al minimo e
meno doloroso possibile il contatto attivo con le persone. Mi pare di sentirgli
aleggiare un senso vago di morte intorno, forse perché la cita a un tratto,
forse perché parla come chi abbia rinunciato a vivere pienamente e deciso di
vivere a metà o di lasciarsi vivere solo perché sa che potrebbe anche morire
tra due minuti e mezzo.
Ma è come se
avesse un alone di rabbia inespressa o lasciata lì da parte in un angolo a
macerare: mentre mi racconta le sue storie dice infatti più volte A me non
me ne frega niente, e si è lasciato svuotare la casa da alcune donne
inviperite, arrabbiate irredente, o forse solo deluse da un uomo poco presente
in qualità di uomo.
In compenso,
ha una dolcezza un po’ malinconica negli occhi che ti guardano dritto in
faccia.
Ha messo da
parte l’acqua e ha preso un latte macchiato.
Io un tè con
molto zucchero. Ho bevuto la mia acqua e mangiato le mie fettine di limone
prendendole a morsi. Peccato che non ci fossero i biscottini.
Quando si è
alzato aveva davvero le gambe lunghe da trampoliere come avevo intuito, e
cammina bene nonostante il ginocchio operato male.
Aveva anche
le spalle un po’ ingobbite come non avevo intuito, ma non ci vedo niente di
strano, alla luce di tutto.
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