Fra Scilla e Cariddi [03/06/2011]

Passa un treno da una parte e, dall’altra, un tipo in maglietta verde e con il casco in motorino, sobbalzando sul terreno sconnesso guardando dritto verso la sua meta.

Un giovane e una giovane grassa ogni tanto camminano e ritornano a piedi lungo il sentiero di sabbia, e ogni volta si allontanano.

Un ragazzo e una ragazza in macchina si avvicinano cercando un posto dove stare e poi vanno a cercare altrove.

Un uomo e una donna su di una Punto bianca passano e vanno a fermarsi nello slargo sabbioso per poi guadagnare il mare a piedi.

Tre o quattro pescatori hanno piantato le canne da pesca in riva al mare e aspettano per ore con pazienza.

Una barchetta a motore rossa gira sottocosta, due sagome guardano verso terra.

Il mare è di un azzurro venato di rosa, liscio in superficie, fra le due coste.

Sembra quasi un grande lago calmo.

In barca a vela le ho sentite diverse volte, le correnti avverse, spingere contro la barra del timone.

Normalmente non si fa fatica a seguirne il movimento per mantenere la barca in bilico tra le acque e i venti.

Una volta invece il mare era in tempesta, in navigazione.

Scilla e Cariddi si contendevano questo nostro guscio.

Ma nella canicola del primo pomeriggio c’è solo qualche zanzara sulla spiaggia, e una calma piatta come pezzi di vetro in cima a un muro, fra queste e quelle coste.

 

La notte è diverso.

È allora, che il mio spazio si dilata e un uccellino canta molto affaccendato al buio, fuori.

Ci siamo io, la mia gatta – e qualche riverbero da fuori sul mio armadio che ogni tanto, sempre, bussa dall’interno.

Non c’è nient’altro, e non c’è niente di superfluo.

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