Eppur si muove [20/05/2011]

Cammina tracagnotta con il figlio di sette anni alle calcagna.

Sembra sempre trafelata e un po’ agitata.

Lavora un sacco di ore in più per tenere corsi di aggiornamento e altre piacevolezze.

Chiedo: Scusa, ma tutto questo straordinario almeno te lo pagano?

Sorride mezza amara e mezza compiaciuta mentre mi fa no con il ditino.

Cioè, lavora per la patria. E per l’orgoglio.

 

Il lavoro gratis da un annetto non mi è nuovo. Ne ho un mezzo vantaggio in prospettiva. Mi chiedo per lei il vantaggio quale sia. Non capirò mai la sindrome da prima della classe – ma la so riconoscere quando la vedo: si dà tanto da fare come un criceto che dentro alla sua ruota corra in corsa frenetica agitando la zampina per farsi notare in tutta la sua frenesia. Salvo poi dare in escandescenze quando non lo si nota a sufficienza e dimostrare benissimo quanto è pronto, infine, a stramazzare.

Intanto, siccome si devono fare le cose per bene, è fiscale come un agente del fisco nell’annotare il numero delle ore che facciamo o non facciamo, minuto per minuto, pronta a farti scontare con gli interessi i due minuti (due!) di eventuale ritardo ma senza calcolare le ore in più non conteggiate di lavoro svolto.

Ha l’aria di chi agisca secondo il sacro principio Conosci le regole – per farti asservire. Col corollario implicito: Asservi il prossimo tuo come te stesso.

Imprescindibile e senza deroghe né elasticità nemmeno quando le regole stesse la prevedono.

Una puntina di masochismo c’è, mi pare – con il retrogusto sadico che il masochismo porta sempre con sé.

 

A me le regole pare giusto che ci siano. E mi piace conoscerle, dal momento che mi piace essere consapevole. Preferisco aderirvi quando è giusto e quando è necessario faccio anche più del dovuto – ma, quando faccio di testa mia, desidero anche sapere a quali norme sto contravvenendo.

È un po’ quello che faccio anche a scuola: lavoro tanto ma non sono un cerbero. Chiarisco i punti perché la consapevolezza li renda liberi.

Diciamo la verità: le norme ci vogliono, sennò fra l’altro tutto è possibile e niente è interessante.

Leggere i libri proibiti, per esempio, era tanto più intrigante quanto più erano proibiti: il gusto del proibito mi induceva ad amplificare uno spazio personale dove rintanarmi per goderne senza interferenze.

D’altronde, non ho mai ammazzato nessuno né rubato.

No, una volta sì, avrò avuto cinque anni e ho rubato una figurina a un’amichetta. Mi sono sentita male per giorni. Ecco, rubare è una delle cose che non farei mai.

Ma questo non c’entra, qui non abbiamo rubato nulla: qui si sta, semplicemente, cavillando ingiustamente a nostre spese.

Ed ecco, mi ringalluzzisce quando è per giusta causa, che sono accusata ingiustamente: se non altro, mi tengo il mio sputo personale e intimo di ragione per il fatto che quel che ho fatto l’ho fatto perché volevo farlo credendolo giusto, e non per imposizione, frustrazione, ignoranza o disperazione.

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