Come peletti [12/05/2011]

Abbiamo litigato.

Io e il preside della paritaria dove insegno in questa moderna forma di schiavismo a cui mi son dovuta piegare perfino io dopo l’avvento della crisi del 2008, quando gli incarichi statali hanno cominciato a sparire.

La legge non scritta prevede questo patto: tu docente insegni e fai punti cosicché prima o poi avrai in premio un lavoro vero, io preside ti do i contributi e il servizio. E nient’altro. Ringraziami, prof.

Dunque abbiamo litigato perché ho preso un incarico che mi dovrebbe, prima o poi, per una volta nella vita esser pagato, ma occorrono ore sulle quali lui non intende transigere. E dire che nemmeno me le paga.

Dico abbiamo litigato perché lui ci ha il senso di inferiorità da diplomificio paritario e non mi vuole accordare un giorno, e io che cerco di mediare per accontentare anche le scuole del progetto.

Mi dice ah noi non siamo una scuola di serie B e lei non è un’insegnante di serie B si faccia valere.

Non lo ha ancora capito, che io di serie B non mi ci sento proprio, posto che, a differenza sua, lavoro (bene) come un baio da corsa.

E poi che ne sa lui di quanto sto lottando per incastrare tutto bene.

Mi dice mi faccia chiamare dal preside.

Sì, gli faccio chiamare te che eri partito a rompere... sì, voglio dire, a mettere le mani avanti agli esami di stato reagendo, contro i colleghi statali, ai tuoi stessi pregiudizi da frustrato e suscitando così le antipatie della commissione intera – e ti abbiamo salvato noi.

Ma non diciamo corbellerie, l’aspirante diplomatico senza portafoglio.

Intermediari fuori dai piedi, grazie.

Specie se incapaci in quanto frustrati.

Non solo non paga.

Eh.

 

Ma quanto parlano oggi.

Mi pare di stare allo zoo.

Si alzano armeggiano coi telefoni uno mi fa a ripetizione, a cadenze regolari di uno o tre minuti, sempre la stessa domanda – Prof me lo restituisce il telefono? – che ha sempre la stessa risposta – No. – tra una frase e l’altra.

Non vale strategia psicologica di sorta.

Così non si può spiegare un emerito.

Però si fa lo stesso. Non ho ancora capito come ho fatto a infilarci la chiarezza in tutto questo.

Vero è che, a un certo punto, mi hanno fatto venire la riderella incontenibile per via che sono, per l’appunto, incontenibili.

Era da un pezzo che non mi capitava in classe.

Non che se lo meritino.

Me lo merito io, grazie.

 

Dice che Ligabue sarà in concerto a Reggio Emilia il sedici luglio. Viene di sabato. E se ci andassimo in macchina quel finesettimana? Tutte e due andata e ritorno.

Bello.

Scuole permettendo, e se non sono già finiti i biglietti, io me l’accollo.

 

C’è vento.

Poco, una brezza leggera, non quel vento che spazza via tutto e arruffa pelle e capelli e porta sacchetti di plastica e foglie secche in un insieme informe indistinguibile. Questo alliscia i prati che crescono sulle colline come peletti. Li accarezza come mani di bambini un gatto: scorrono queste chiazze piccole di un verde più chiaro sul verde più scuro.

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