Ma sedendo e mirando [17/12/2010]


Stavolta ho quindici anni. Sono con la famiglia a M***, sotto T***, come ogni anno ancora per qualche anno.
Sto sulla spiaggia di ciottoli levigati e sopra la testa ci sono i gabbiani e davanti agli occhi lo specchio d’acqua liscia chiusa dentro la lingua di sabbia. Dove alcuni anni dopo sarei tornata con il mio ragazzo per vedere se avrebbe sentito il posto nello stesso modo e il silenzio con i fruscii, e lui invece si immaginava di tornarci con la moto per fare rumore e deturpare il paesaggio.
Ci sarei tornata anche molti anni dopo a mezzanotte con un’amica a guardare le stelle cadenti in silenzio, con un’onda piccola che ogni tanto passava. Perché mi andava di guidare e mi andava di farle conoscere questo posto.
Quell’anno invece è giorno e c’è lo sciabordio lento e lieve delle onde sulla sabbia, i gabbiani sopra la testa e una capra che si sente belare dal fianco della rupe, ma non si vede.
Ho scritto lì quell’anno il mio primo racconto. Compravo già i quaderni nuovi e lisciavo con le mani le pagine bianche per il piacere di immaginare che cosa ci potessi scrivere dentro. Questo era un quaderno grosso.
Mi sono seduta a uno dei tavoli di pietra disabitati dei bungalow disabitati, protetti dalle siepi. Uno di quei tavoli dove poi, anni dopo, avremmo visto una mantide che sembrava che pregasse, secondo l’uso delle mantidi.
Mi sono seduta al tavolo di pietra, di fronte ai cespugli alle ginestre e al mare, e mi sono messa a scrivere.
Come molte cose mie, non era che il raccontino di un’adolescente: una riscrittura della Sirenetta, la prima delle mie riscritture.
Non so se ce l’ho ancora. Di certo ho ancora, da trent’anni, quel senso della perdita della voce.
La sirenetta mi faceva tenerezza: vince sempre chi con più forza si fa avanti, e non è lei. Come Saffo nell’Ultimo canto.
Mi ero seduta a guardare il mare dentro la lingua di sabbia, come lei e come Ulisse dall’isola di Calipso, ma questo lo avrei scoperto più tardi.
La lingua di sabbia una volta aveva il profilo della madonnina secondo l’occhio popolare. Ormai sembra esattamente quello che è: una lingua di sabbia.

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