Il rubinetto di Goya [14/10/2010]

Non si può immergere due volte il piede nello stesso fiume.
Questo lo diceva Eraclito.
Che era un romantico ante litteram – ‘o skoteinόs, mi pare che lo chiamassero. L’oscuro.
D’altronde la sua filosofia è fatta di massime e le massime sono massime proprio perché si prestano a mille interpretazioni possibili secondo chi le coglie, come gli oracoli e come i segni e i sogni.
Eraclito diceva quasi come quel romanzo che dice che In mezzo scorre il fiume e Modugno cantava che Il fiume scorre lento frusciando sotto i ponti la luna splende in cielo dorme tutta la città e sembra un notturno di Orazio.
Dvořák però lo segue, il fiume che scorre, con tutti i suoni delle rapide e il gorgoglio e poi gli spazi aperti e dilatati, le anse e i ruscelli in mezzo agli alberi, al sottobosco umido e all’odore di muschio e, alla fine, la foce verso il mare. E che sia la Moldava è un elemento accessorio, perché qual è il fiume che non scorre.
Qual è il fiume che non ha un letto in cui scorrere. Quando manca il letto arriva la palude. Quando il letto diventa una gola, secondo le leggi della fisica è naturale che la pressione aumenti e il fiume schizzi via rapido nelle rapide.
Ogni tanto si inabissa e crea elfi, animali e mostri umidi e lucidi con le stalagmiti e le stalattiti con la gocciolina che gocciola giù.

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